Piacciano o meno, le leggi esistono per offrire un punto di vista differente rispetto a quello del singolo cittadino e affinché la loro applicazione venga garantita a prescindere dalle convinzioni personali, siano esse di natura etica, politica o religiosa; ragione in base alla quale se la legge 194 prevede la legittimità dell’aborto, si dovrebbe ritenere che il diritto all’interruzione di gravidanza venga rispettato.
In base a quanto sostiene l’Unione Europea, che ha recentemente accolto un ricorso presentato dalla Cgil, pare invece che il nostro Paese fatichi ancora a trovare il punto di incontro tra legge e opinione, dando vita ad uno scenario in cui i medici che praticano l’aborto (e dunque si conformano alla legge) vengono discriminati all’interno delle strutture sanitarie e in cui l’obiezione di coscienza nei confronti della pratica cessa di essere un legittimo diritto per diventare un incentivo alla carriera.
La situazione “capovolta” in ambio sanitario si traduce logicamente in un accesso piuttosto difficoltoso alle interruzioni di gravidanza per tutti i soggetti richiedenti, spesso costretti alla disperata ricerca di una struttura dove effettuare la pratica e nella mancata protezione di un diritto garantito per via legale e sancito da un referendum popolare.
Nel dettaglio, il numero dei ginecologi obiettori di coscienza è salito in pochi anni fino a raggiungere il 70,7% del totale, con punte percentuali destinate ad impennarsi su base regionali fino a rendere conto delle difficoltà che possono incontrare le donne nel momento stesso in cui si trovano alla ricerca di una struttura dove portare a termine la dolorosa pratica.
Premesso che l’aborto è resterà sempre materia di infiniti dibattiti trasversali, è forse opportuno ricordare al nostro Paese che le leggi sono state inventate proprio per scrivere la parola fine su quei medesimi dibattiti e per garantire diritti e doveri che vanno ben oltre la sfera delle convinzioni personali.
Fonte: Emerge il Futuro