In ambito di ricerca scientifica, riuscire a dimostrare una data teoria comporta spesso un’infinita serie di sforzi e sacrifici, molti dei quali passano necessariamente attraverso un’apparente confutazione di quanto ritenuto corretto in sede di ipotesi iniziale e una conseguente perdita del surplus esplicativo che si intendeva raggiungere.
Un volta stabilito, ad esempio, che esiste un filo conduttore che congiunge alimentazione e stato di salute complessiva del nostro organismo, il problema principale non sta tanto nel verificare un assunto lampante ed evidente, quanto nel riuscire ad incastrare ogni singola casella nel puzzle creato e nel trovare giuste posologie alimentari in grado di preservarci di fronte all’insorgenza di specifiche patologie.
In un quadro insieme divenuto sempre più ricco e fitto nel corso degli ultimi vent’anni si inserisce in questi giorni un nuovo studio condotto da Università Cattolica di Roma e dal Policlinico Gemelli che va ad arricchire la nutrita letteratura medica di settore mediante la scoperta di un rapporto sempre più profondo tra cibo e tumori che, se non rappresenta l’approdo finale di un intero paradigma, gli somiglia molto.
In occasione della “giornata della ricerca”, dedicata quest’anno al tema della nutrizione (in concomitanza con Expo 2015), i medici romani hanno infatti presentato una lista di scoperte e ricerche in base alle quali si staglia sempre più netto il ruolo giocato da omega-3 e alimenti ricchi di vitamine nella strada che porta alla prevenzione e alla cura di numerose forme di cancro.
Secondo gli studiosi italiani, una dieta ricca di omega-3, innanzitutto, potrebbe consentire di rallentare la crescita di numerose masse tumorali, attraverso un processo che porta gli acidi grassi polinsaturi ad assumere come loro bersaglio molecolare proprio le cellule malate, fino a giungere alla loro distruzione,
In parole povere, ogni volta che assumiamo pesce azzurro o salmone, il grosso quantitativo di acidi polinsaturi presente nel nostro organismo innesca una reazione chimica in base alla quale le molecole in questione non solo tenderebbero a legarsi con quelle generate dagli acidi grassi saturi (cosa ampiamente risaputa e dimostrata), andando così a ripulire le nostre arterie, matenderebbero a mettere in camp un’azione analoga nei confronti delle cellule tumorali fino a rallentarne effettivamente i livelli di crescita.
Discorso analogo vale per numerosi cibi ad alto contenuto vitaminico, in particolare ricchi di vitamina B, che potrebbero contrastare alcune forme di tumore in virtù di una componente antiossidanteche riduce il livello di stress ossidativo delle cellule malate, andando a stabilizzare le molecole instabili (note come radicali liberi, che altro non sono che atomi o molecole con uno o più elettroni spaiati e dunque desiderosi di “legarsi” ad altre molecole sane, togliendo loro nutrimento proteico e altre sostanze vitali) mediante la cessione di un elettrone, con conseguente abbassamento del coefficiente di tossicità del radicale libero e maggior risposta della cellula colpita.
Il processo definito come stress ossidativo ed associato a differenti forme tumorali non è, cioè, che l’accumulo di radicali liberi favorito dal malfunzionamento di enzimi preposti al loro smaltimento, che comporta un danno continuo alla cellula sottoposta; condizione che parrebbe trovare rimedio con la semplice assunzione di sostanze antiossidanti, molecole in grado di cedere l’elettrone mancante al radicale libero, andando a stabilizzarlo e consentendo alla cellula di non subire ulteriori attacchi.
Se la strada da fare per dimostrare senza ombra di dubbio che un’alimentazione corretta può non solo prevenire, ma anche curare i tumori, è ancora lunga e complicata, la ricerca romana aggiunge comunque un tassello di vitale importanza alla ricerca di settore e spinge in direzione di ulteriori sforzi e sacrifici, senza i quali nulla sarebbe mai stato dimostrato.
Fonte: Emerge il Futuro