Probabilmente nulla spaventa più il mondo moderno di una diagnosi funesta, soprattutto di tipo oncologico, dato il complesso e doloroso percorso di cura che attende il paziente e dato che, anche a fronte di netti implementi tecnici e farmacologici in ambito medico, la piena guarigione dal cancro resta per molti malati una mera utopia.
Se già il fatto di dover comunicare l’esito di una diagnosi tumorale appare come un compito improbo per medici e radiologi, esistono dei rari casi in cui il personale medico scambia lucciole per lanterne e si esprime in modo inappropriato sulla natura della patologia contratta, andando così a produrre un falso allarme potenzialmente devastante per la vita del soggetto colpito.
Giusto per ribadire il peso che una diagnosi errata può avere sulle condizioni psico-fisiche di un paziente, la Corte d’Appello ha condannato la struttura Fondazione IRCCS Ca’ Granda – Ospedale Maggiore Policlinico di Milano a risarcire un paziente al quale era stato diagnosticata, senza motivo, la presenza di un adenocarcinoma infiltrante, perniciosa forma tumorale che lascia ben poche speranze ai soggetti colpiti.
Sebbene l’errore sia stato compiuto alla segreteria dell’istituto, il tribunale ha riconosciuto il dolo come imputabile all’intera struttura, dal momento che il compito del medico curante è quello di controllare i referti prima che vengano consegnati e prima che una svista burocratica si traduca in un carico di disperazione potenzialmente infinito.
Per questa ragione, l’ospedale milanese dovrà versare al paziente, in realtà affetto da una semplice displasia, la somma simbolica pari a 6100 euro, probabilmente non idonea risarcire pienamente il procurato allarme e la genesi di quell’immensa paura che terrorizza il mondo moderno come poche altre.
Fonte: Emerge il Futuro