Suddiviso in base alla densità di lipidi e proteine presenti al suo interno in due distinte categorie, il colesterolo viene tradizionalmente presentato dalla ricerca medica come potenziale causa di infarto, diabete, ictus e quant’altro in caso di bassa densità (Ldl) e come valido aiuto in caso, invece, risulti di tipo Hdl, cioè ad alta densità di elementi lipoproteici.
Ebbene, quanto appreso fino ad ora potrebbe non corrispondere a verità assoluta, dato che un recente studio condotto dalla University of Pennsylvania Perelman School of Medicine sembrerebbe attestare come ad elevati livelli di colesterolo Hdl (quello “buono”) non venga affatto a corrispondere un minor rischio associato a patologie di tipo cardiovascolare.
Secondo i due ricercatori italiani autori dello studio, tutte le strategie rivolte dalla ricerca medica all’innalzamento artificiale dei livelli di colesterolo Hdl in ottica di prevenire l’insorgenza di malattie cardiovascolari si sarebbero rivelati fallaci e nessuno sarebbe mai riuscito a dimostrare in modo univoco al supposta bontà del colesterolo ad alta densità, percepito più come una chimera medica, che non come una reale fonte di benessere organico.
Prendendo per buona la tesi classica che prevede la capacità del colesterolo Hdl di ripulire le arterie dai detriti depositati dal “gemello cattivo” Ldl e di trasportarli in direzione del fegato, dove avviene il loro naturale smaltimento, i ricercatori hanno inoltre constatato come questo processo non avvenga in modo lineare e come una determinata predisposizione genetica, piuttosto comune, possa interrompere la catena portando anche il colesterolo Hdl a diventare nocivo per la slavaguardia di cuore e arterie.
Lo studio pubblicato su Science, ancora lontano dallo scrivere la parola fine sulla questione, getta comunque nuova luce sulle reali funzioni svolte dagli steroli nel nostro organismo e ci porta a ripensare la divisone classica tra colesterolo buono e cattivo in un’ottica profondamente differente.
Fonte: Emerge il Futuro