Giusto una settimana fa, la Corte di Cassazione ha stabilito la possibilità legale di rigettare un embrione, in caso vi siano legittime ragioni per ritenere che possa essere malato, aprendo così nuovi scenari di fronte alle tecniche e alla leggi che regolano l’accesso alla fecondazione assistita.
Quasi in virtù di uno scherzo del destino, a pochi giorni dalla sentenza, alcuni ricercatori italiani facenti capo al Centro di medicina e biologia della riproduzione European Hospital di Roma sono riusciti a dimostrare, per la prima volta nella storia della medicina, come la natura riesca spesso a provvedere in piena autonomia alle carenze legislative e come sia possibile assistere alla nascita di bambini sani concepiti attraverso il ricorso ad embrioni portatori di patologie genetiche.
Tramite un esperimento condotto da un’equipe di medi ci capitanata dal dottor Ermanno Greco, i ricercatori romani hanno infatti scoperto l’esistenza di una sorta di sistema di auto-correzione che porta gli embrioni malati a venire “normalizzati” dentro il grembo materno, fino a dare vita ad un parto assolutamente normale e privo di patologie.
Selezionando circa 3800 blastociti (cellule che si formano nelle due settimane seguenti al concepimento), i ricercatori hanno analizzato la percentuale di embrioni definita a “mosaico” (circa il 5%), cioè composte da gameti sani e malati, e studiato successivamente come l’organismo umano si relazionava nei confronti di queste particolari anomalie genetiche durante lo stato interessante.
Una volta trasferiti i blastociti all’interno dell’utero materno, è stato dunque possibile analizzare nel dettaglio come l’organismo della gestante provvedesse a scomporre gli embrioni a mosaico e ad isolare le caratteristiche genetiche necessarie alla preservazione della specie da eventuali patologie, fino al punto di giungere ad una comune gravidanza a poche settimane dall’inoculazione e alla conseguente nascita di bambini perfettamente sani e formati.
Lo studio pubblicato sul New England Journal of Medicine comporta dunque una duplice valenza, suggerendo come, nel caso di particolari anomalie presenti nei blastociti, l’introduzione nell’utero materno possa rivelarsi la soluzione migliore e ponendosi, d’altro alto, come uno strumento diagnostico atto a denotare la presenza di malattie in gravidanza, proprio sulla base dei segnali che il corpo manda quando si trova alle prese con embrioni malati o a mosaico.
La lunga ricerca romana ha infatti mostrato come la reazione del corpo materno sia differente di fronte all’inoculazione di blastociti a mosaico e come, dunque, risulti possibile monitorare le condizioni del feto e giungere a processi di fecondazione artificiale sempre più accurati, a prescindere da quanto viene stabilito da corti e appositi tribunali.
Fonte: Emerge il Futuro