La recente differenziazione operata dalla medicina moderna in base ai generi ha consentito non solo di individuare il raggio di azione per patologie tipicamente maschili o femminili, ma di definire il differente impatto che identiche anomalie organiche, come la fibrillazione atriale, possiedono sui due sessi.
Se da un punto di vista oggettivo la fibrillazione atriale, anomalia nel battito cardiaco piuttosto diffusa, si presenta con identiche modalità in maschi e femmine, la portata della malformazione assume connotati profondamente differenti a seconda del sesso del portatore, con conseguenze estremamente più tragiche nella parte femminile del cielo.
Una recente ricerca pubblicata sul British Medical Journal ha infatti portato alla luce le presenza di una sostanziale differenza di rischio connessa con la fibrillazione atriale, secondo uno schema che prevede un tasso di mortalità aumentato del 12% presso le donne portatrici dell’anomalia rispetto ai loro “colleghi” maschi.
Prendendo in esame una vasta letteratura antecedente e un numero di casi complessivi pari a 4 milioni di individui, un team di ricercatori internazionali, coordinato dalle università di Oxford, Toronto, Boston e Sidney ha infatti potuto riscontrare che, laddove erano le donne a soffrire della problematica, le probabilità che la fibrillazione si traducesse in un ictus o in un arresto cardiaco crescevano a dismisura e le speranze di sopravvivenza andavano riducendosi.
Lo studio condotto su un ampissimo campione statistico lascia dunque intravedere la possibilità di intervenire sulla fibrillazione atriale secondo modalità diversificate a seconda del genere del portatore e di condurre la differenziazione operata dalla medicina moderna verso sviluppi sempre più netti e utili a salvare milioni di vite, andando ad intervenire sul fattore legato alla prevenzione individuale.
Fonte: Emerge il Futuro