Tra le vicende più controverse relative all’impiego dei farmaci e alla genesi di effetti collaterali del tutto imprevisti, la possibilità che l’impiego di medicinali antinfiammatori di tipo non steroideo (fans) possa produrre scompensi cardiaci e conseguenze fatali al cuore sta da anni dividendo in due distinte fazioni la comunità scientifica e innescando una sorta di guerra medica che prevede il problema come sottovalutato, oppure del tutto inesistente.
Premesso che fino ad oggi nessuno è riuscito a chiarire fino in fondo se l’assunzione prolungata dei comuni inibitori della prostaglandine e consimili possa alla lunga produrre i suddetti danni al cuore, un monumentale studio su base statistica condotto dall’Università di Milano-Bicocca potrebbe far pendere la bilancia delle evidenze in direzione dell’eventualità, seppur in forma più mite di quanto postulato in sede iniziale dai primi pionieri della correlazione.
Andando ad analizzare 92.63 casi di ricoveri dovuti a scompenso cardiaco e confrontato successivamente i dati ottenuti con quelli relativi ad un altro ingente campione statistico (pari a quasi 8 milioni e mezzo di unità, derivanti da uno studio antecedente sui Fans), i ricercatori milanesi avrebbero infatti scoperto l’esistenza del suddetto nesso e tracciato uno schema che prevede lo scompenso cardiaco quale causa diretta di assunzione di Fans, con aumento della gravità che procede di pari passo al dosaggio specifico assunto dal paziente.
A differenza di ricerche analoghe, lo studio pubblicato sul British Medical Journal ha incluso nelle categorie a rischio, oltre ai Fans, anche i farmaci antidolorifici e antinfiammatori di ultima generazione, gli inibitori della Cox-2, i cui effetti sulla salute del cuore sarebbero paragonabili a quelli delle categorie farmacologiche tradizionali e vincolati alle stesse logiche.
Rapidamente contestato dalla porzione di ricercatori che non reputa gli antidolorifici e antinfiammatori alla stregua di una reale fonte di pericolo per il cuore, lo studio milanese è comunque rapidamente divenuto oggetto di approfondite discussione ed ha riaperto, suo malgrado, l’infinita diatriba in merito, all’interno della quale le uniche evidenze rimangono confinate ad un ambito statistico, senza che un nesso biologico del problema sia ancora sopraggiunto a sancire la ragione di una tesi o dell’altra.
Fonte: Emerge il Futuro