Pratica diagnostica talmente invasiva da sconfinare in un ambito terapeutico, la biopsia non è spesso che l’inizio di un lungo e difficoltoso processo di lettura delle cellule estratte dall’organismo umano che culmina con lo studio delle caratteristiche presenti in un’anomalia nel tessuto e nel cercare di definire l’eventuale presenza di una componente tumorale e del suo eventuale carico di aggressività.
In un’epoca storica in cui tutto diventa sempre più digitale e simulato, ad alcuni ricercatori facenti capo all’azienda bolognese Silicon Biosystem Menarini è venuta l’idea di trasferire l’ambito delle biopsie ad una sfera hi-tech in cui ad ogni cellula viene a corrispondere un pixel, di modo da poter osservare nel dettaglio le mutazioni genetiche in atto andando a prelevare una porzione di tessuto organico ridotta, in modo meno doloroso ed invasivo.
In sostanza, grazie al brevetto di un particolare strumento ottico, risulta possibile osservare minuscoli campioni di tessuto prelevati dal paziente ed operare uno screening esaustivo sulle cellule coinvolte, di modo da poter stabilire con estrema accuratezza la tipologia di problematica riscontrata ed intervenire al più presto sul tumore con cure rivolte alla specifica variante.
Grazie all’accordo raggiunto dalla ditta bolognese e il colosso coreano Macrogen, la diffusione della nuova tipologia di indagine hi-tech apare avvicnarsi a grandi passi e, con essa, un futuro in cui le biopsie riusciranno a produrre esiti chiari in tempistiche molto più limitate, andando a limare il coefficiente di imprecisione che ancora avvolge al pratica e che spesso si traduce nella genesi di ansie inutili.
Con la speranza che la biopsia digitale faccia la sua comparsa negli ospedali italiani al più presto, l’auspicio è quello che la digitalizzazione delle diagnosi vada a coinvolgere sempre più settori della ricerca medica e che dia prova di quanto le metodologie di indagine invasive e imprecise possano presto venire salutate per sempre.
Fonte: Emerge il Futuro