Partendo dal logico presupposto che l’obiettivo di ogni campagna pubblicitaria consiste nell’attirare l’attenzione di critica e spettatori, capita talvolta che in confini del lecito si facciano sempre più labili e che un’iniziativa promossa per sensibilizzare il grande pubblico sulla piaga dell’Aids si trasformi nel pretesto per un solenne dibattito sulla decenza e sugli indebiti utilizzi di slogan ambigui e testimonial inconsapevoli.
Nel corso dell’iniziativa promossa dalla Anlaids Lombardia, in occasione di Convivio, mostra dedicata dalle grandi case di moda al tema del virus Hiv, ha infatti fatto bella mostra di sé un inquietante cartellone pubblicitario in cui il volto di Donatella Versace si trovava associato all’espressione “meglio fashion victim che Aids victim”, il cui significato, benché palesemente tautologico (nessuno al mondo sceglierebbe l’Aids tra i due termini della proposizione) risultava quantomeno fuori luogo e di cattivo gusto in relazione all’argomento trattato.
La diretta interessata ha prontamente smentito di aver mai pronunciato la suddetta frase, quantomeno in pubblico, e di aver dato il suo beneplacet all’impudica associazione di idee, imputando il misfatto ad un’incomprensione intercorsa tra la stessa stilista e la sua agenzia di stampa e negando ongi rapporto con l’inziativa in atto a Milano.
Le polemiche erano sorte in realtà ancor prima dell’uscita della foto incriminata e già l’idea di delegare allo slogan “L’Aids è di moda” una campagna di sensibilizzazione aveva fatto storcere il naso a coloro che ritengono il messaggio troppo forte e troppo ambiguo in relazione allo scopo umanitario dell’iniziativa.
Comunque la si pensi, l’impegno delle grandi case di moda verso il fenomeno dell’Aids, rapidamente otranto in auge in Occidente, appare sicuramente lodevole, a prescindere da quelle sviste pubblicitarie ideate con l’esplicito obiettivo di far parlare di sé e pienamente riuscite nell’intento.
Fonte: Emerge il Futuro