Provando a rivolgere lo sguardo in direzione della volta celeste, si ha spesso una sensazione di smarrimento paragonabile ad una vertigine, prodotta a partire dalla consapevolezza della nostra sostanziale piccolezza di fronte al Creato e dalla comprensione di quanto, in fondo, le nostre vicende private risultino infinitamente esigue se paragonate ai destini dell’Universo.
Se solo gli acari fossero in grado di produrre pensieri analoghi, probabilmente partorirebbero ragionamenti del tutto simili, incentrati tuttavia non sulle sorti del cosmo ma su quelle del nostro viso, habitat naturale per numerose specie animali infinitamente piccole e (per nostra somma fortuna) totalmente invisibili ai nostri occhi.
Stando a quanto si apprende da una recente ricerca condotta dalla North Carolina State University di Raileigh, pare infatti che il nostro viso sia abitato da una serie di inquilini non voluti che, per quanto totalmente innocui per le nostre condizioni di salute, gettano un’ombra un po’ inquietante sulle sorprese che potrebbe nascondere il nostro organismo, una volta scandagliato in profondità mediante il ricorso ai più moderni sistemi di indagine.
Le due specie di acari che abitano la nostra faccia sono il Demodex follicolorum e il Demodex brevis e risiedono, rispettivamente, all’interno delle minuscole cavità porose che compongo il nostro strato cutaneo e nelle profondità delle ghiandole sebacee, entrambi luoghi ben riparati dove condurre in toto una serena esistenza contraddistinta dalla riproduzione continua delle specie in questione.
Se, fino ad oggi, la presenza di microrganismi collocati alle più disparate latitudini del nostro corpo (organi genitali inclusi) era ben nota all’universo scientifico, l’inedita collocazione degli acari sul nostro volto risulta una novità assoluta, sulle ragioni della quale glia autori della ricerca si stanno interrogando, senza tuttavia giungere ad una conclusione unanime.
L’ipotesi maggiormente accreditata sostiene che gli acari facciali siano un retaggio della nostra evoluzione e che abbiano deciso di trascorrere la loro intera esistenza a stretto contatto con l’uomo per potersi nutrire di tutti quei batteri che proliferano sulla nostra pelle o addirittura di cellule epiteliali morte, trovando così fonti di approvvigionamento continue senza troppi sforzi e senza troppe peregrinazioni.
La tesi pare trovare una sua conferma nel fatto che le due specie di acari in questione sono apparse presenti in quantità più elevate presso tutti i soggetti che soffrono di acne, condizione che produce un surplus di batteri e cellule cutanee morte talmente piccole e invisibili da farci sembrare i nsotri volti, agli occhi degli acari, infiniti e ricchi di ogni ben di Dio, quasi come l’Universo stesso.
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