Un tempo connotata e definita in maniera quasi esclusivamente dai suoi sintomi di tipo fisico e meccanico, la malattia neurodegenerativa nota come morbo di Parkinson si trova oggi ad essere al centro di un sistema di ricerca che pone sempre più i tremori e le oscillazioni degli arti come il prodotto della perdita di particolari facoltà cognitive e che si ripropone di inserire diagnosi e possibile terapia all’interno di un ampio quadro di insieme, in grado di comprendere i meccanismi molecolari che regolano il funzionamento del nostro cervello.
Esattamente come accade per il morbo di Alzheimer, il Parkinson non è infatti che il prodotto di una serie di danni riportati da determinate aree cerebrali e il termine ultimo di un lungo processo che può essere colto d’anticipo andando a prestare attenzione a tutti quei segnali che possono denotare l’esistenza di un cortocircuito molecolare, molto prima che il quadro sintomatologico di tipo classico si palesi in tutta la sua devastante tragicità, andando a manifestarsi nella crescente impossibilità di fare affidamento sugli arti in modo saldo e sicuro.
In concomitanza con la Giornata Nazionale dedicata al morbo di Parkinson, la ricerca di settore ha mostrato infatti come risulti ormai possibile incrociare una serie di fattori derivanti dalla predisposizione genetica e dalle condizioni ambientali con una serie di campanelli di allarme a livello cognitivo, utili a denotare la possibilità che la patologia abbia iniziato a fare il suo corso in forma latente e ad operare quegli interventi correttivi che consentono di rallentarne il progresso, facendo proprio leva su una diagnosi precoce e sul fatto che le problematiche neurologiche riscontrate non sia ancora tanto ingenti da sfociare nei proverbiali tremori.
Secondo le evidenze raggiunte fino ad oggi, i soggetti a rischio possiedono una sorta di minimo comun denominatore legato a determinate anomalie che comprendono: disturbi del sonno, difficoltà d’espressione linguistica, eccesso di sudorazione, rigidità e tensioni ai muscoli del collo e della faccia e perdita dell’olfatto (comune, tra l’altro al morbo di Alzheimer); tutti segnali che, se presi isolatamente possono rimandare ad un qualunque squilibrio neurologico, ma che se risultano essere concomitanti e collocati in una fascia di età a rischio, potrebbero lasciar presagire il triste sviluppo della a malattia e la genesi, di lì a poco, di un quadro sintomatologico meno vago e più chiaro.
In attesa che vengano chiariti fino in fondo i moventi molecolari e proteici che portano numerose aree del nostro cervello a perdere le loro facoltà, occorre dunque cercare di inserire il morbo di Parkinson all’interno di un quadro di insieme più ampio e comprendere a fondo quanto le manifestazioni meccaniche della malattia non siano che un epifenomeno di un disagio più profondo, collocato in una arco temporale troppo tardivo per dare vita ad una diagnosi tempestiva.
Fonte: Emerge il Futuro