L’esperienza dei conflitti mondiali e degli ospedali da campo improvvisati all’interno di tendoni, tutt’altro che sterili, insegna che la cura del paziente deve in ogni caso risultare prioritaria rispetto alla forma e all’accoglienza del presidio sanitario improvvisato e che risulta tranquillamente possibile fare di necessità virtù qualora le condizioni di emergenza lo impongano.
Allo stesso modo, però, la fine di stati di guerra perenne in Europa ha insegnato che igiene e confort non sono fattori trascurabili in materia sanitaria e che ogni malato ha il sacrosanto diritto di venire curato all’interno di un accogliente letto, dove il senso di riposo trasmesso dalla struttura favorisce al ripresa dal malessere ad un livello squisitamente psicologico prima ancora che fisico.
Non si spiega dunque, come sia possibile che nell’Italia del 2017 si assista ad inquietanti fenomeni da bivacco come quello che ha avuto per protagonista una struttura medica di Nola, dove i malati venivano curati per terra, in mezzo ai corridoi e in totale assenza di quelle precauzioni e di quella riservatezza del caso che rappresentano il minimo comun denominatore di ogni ospedale e di ogni paese civile.
All’indomani delle polemiche che hanno investito la direzione dell’ospedale di Nola, dopo che le immagini di malti curati per terra erano diventate di pubblico dominio, le prime teste a saltare (in senso metaforico, si intende) sono state quelle del direttore sanitario della struttura, del responsabile del pronto soccorso e del responsabile della medicina d’urgenza, tutti sospesi dal servizio in attesa che un’indagine chiarisca le ragioni dello scempio.
Capri espiatori del caso a parte, il triste episodio di Nola ha in realtà sollevato il consueto tappeto polveroso sulla sanità nostrana, mostrando una dicotomia tra carenza di posti letto e necessità di fornire comunque cure ai malati che sta assumendo tinte endemiche in alcune regioni di Italia e che sta mostrando sempre più come il sovraffollamento delle nostre strutture sia il peccato originale di una sanità spesso costretta a reinventarsi in modi piuttosto bislacchi pur di tenere fede all’ormai trito e ritrito giuramento di Ippocrate.
Se l’idea di curare pazienti nei corridoi di una struttura appare infatti quantomeno fuori luogo, non si capisce al momento quale comportamento avrebbero dovuto tenere il direttore e i responsabili dell’ospedale per far fronte ad un afflusso straordinario di richieste di soccorso, verificatosi nel corso dello scorso fine settimana, e a quali organi fossi realmente imputabile la carenza di ambulanze, posti letto e di ogni altro giaciglio quantomeno decente.
Con la speranza che l’inchiesta non si arresti ai soli responsabili della struttura, fagocitati da un’emergenza più grande di loro e in parte incolpevoli, la speranza è ovviamente quella di non dover mai più assistere a scene simili nel nostro Paese, dato che i tempi della guerra sono ormai passati e che la virtù dovrebbe accompagnarsi alla necessità senza che l’una rimpiazzi l’altra.
Fonte: Emerge il Futuro