Anche a fronte di stimi e studi che attestano come la dipendenza da connessione perenne rappresenti un valido terreno di insorgenza per stati ansiosi e depressione maggiore, esiste un ampio novero di soggetti che intende curare i propri disturbi di natura psichica e neurologica proprio mediante il ricorso al web, ritenendo che quella miriade di informazioni generiche presente in Rete possa rappresentare un valido surrogato di una visita specialistica.
Se i siti che trattano i disturbi psichici non sono certo una novità e ce n’è per tutti i gusti, dal fantomatico approccio olistico fino a trattati di medicina veri e propri, sta infatti sempre più prendendo piede il fenomeno definito come E-mental health, che consiste nella genesi di apposite applicazioni per smartphone, tablet o pc dedicate appunto alla (presunta) risoluzione di problematiche relative alla salute mentale, anch’esse affrontate da molteplici ed opposti punti di vista.
Una recente inchiesta presentata nel corso dell’annuale convegno della European Psychiatric Association (EPA), in fase di svolgimento a Firenze, ha infatti mostrato come il 6% dell’immenso monte app totale risulti dedicato alla cura o alla gestione delle più disparate problematiche mentali e come le oltre 3 mila applicazioni dedicate al tema si compongano di un variopinto arcobaleno diagnostico e terapeutico.
A fianco di applicazioni ideate per agevolare la comunicazione tra medico e paziente e per prenotare in modo più scorrevole le visite del caso, ne esistono centinaia che mirano a fornire al paziente una sorta di supporto asettico, andando a fornire consigli generici a fronte della descrizione di un quadro sintomatologico altrettanto generico e spesso difficile da ricondurre ad una causa univoca persino da un vero specialista in carne ed ossa.
Se da un punto di vista strettamente logistico e burocratico, numerose app dedicate alla salute mentale possono fungere da valido supporto per fugare dubbi iniziali e per evitare code infinite all’interno dei Cup delle Asl, il rischio concreto è quello che il cittadino sottovaluti i sintomi avvertiti e si dedichi a cure fai-da-te non in grado di centrare il bersaglio, senza mai domandarsi, tra l’altro, se tutti quei disturbi percepiti non derivano proprio da una dipendenza dal mezzo tecnologico e dall’ossessiva ricerca di soluzione a problematiche generate proprio a partire dalla ricerca stessa.
Fonte: Emerge il Futuro