Considerato per secoli alla stregua di un’inutile appendice in sede post-natale, il cordone ombelicale si è in realtà rivelato alla stregua di una preziosissima fonte di cellule staminali, utili a curare 80 differenti patologie, una volta che le sue componenti sono state infuse in un organismo in attesa di trapianto.
Se il ricorso alle cellule contenute nel cordone ombelicale dei neonati è ormai divenuto una prassi medica diffusa ad ogni alatitudine, con un ammontare complessivo pari ad oltre 30 mila trapianti effettuati nel mondo, pare che l’Italia si trovi tuttavia ancora ai margini della ricerca di settore e che i cordoni ombelicali vengano destinati con maggior frequenza al cassonetto della spazzatura che non agli appositi laboratori.
A causa di una serie di incomprensioni in materia (amplificate da casi mediatici come quello che ha coinvolto il presunto metodo Stamina) e di una serie di tabù ancora ben lungi da sfatare, il nostro Paese detiene il triste primato relativo al mancato utilizzo dei cordoni ombelicali in sede di ricerca, con il 95% dei cordoni che viene sprecato e gettato in qualità di “rifiuto speciale”.
Se si considera che le recenti e continue evoluzioni della ricerca incentrata sulle staminali hanno reso possibile la genesi di una cura per malattie un tempo incurabili quali la Sindrome di Wiskott-Aldrich, la Ada-sci o numerose paralisi cerebrali infantili, proprio grazie a partire dai trapianti effettuati a partire dal cordone ombelicale, si comprende appieno come il nostro Paese si trovi a soffrire di un sostanziale deficit e di un problema da affrontare prima che il gap con le nazioni più evolute in materia si traduca in ulteriori costi e nello sperpero coatto di vite umane.
La speranza è logicamente quella che i residui veli in materia vengano rapidamente a cadere lungo la Penisola e che la ricerca incentrata sulle staminali si arricchisca di donazioni e di cellule, utili a far comprendere come il cordone ombelicale non è quell’inutile appendice da eliminare che si trova per caso attaccata al corpo dei neonati.
Fonte: Emerge il Futuro