Gli effetti prodotti dalla chemioterapia sull’organismo sono spesso tanto devastanti da spingere molti pazienti a votarsi in direzione di altre (fallaci) soluzioni o a preferire di soffrire a causa della propria malattia, dal momento che la somministrazione di farmaci di tipo chemioterapico, soprattutto in caso di tumore lal cervello, si rivela spesso tanto dolorosa quanto poco produttiva.
Da un’idea concepita tra le mura dello Sunnybrook Health Sciences Centre, in Canada, e dal coraggio di una volontaria nasce tuttavia la speranza di limitare i danni della chemio e di aumentarne l’efficacia grazie ad un innovativo sistema che consente dei veicolare i farmaci direttamente lal cervello dall’interno di apposite bolle e di superare così quella difesa naturale costituita dalla barriera encefalica.
Se fino ad oggi lo scarso successo delle chemioterapia in caso di tumore al cervello era dovuto alla presenza di uno scudo naturale, collocato nei pressi dell’encefalo, che impediva al farmaco di colpire il bersaglio tumorale, i medici canadesi sono riusciti a dimostrare che risulta possibile superare lo scoglio ed aggredire il cancro in modo molto più efficace, mandando i medicinali direttamente al cervello senza tappe intermedie, né scudi di sorta.
Oltrepassando alcuni fori lasciati dalla barriera encefalica della signora Bonny Hall, affetta da cancro al cervello e unica “cavia” umana dell’esperimento, è stato infatti possibile aggredire il tumore in modo micro-invasivo e giungere rapidamente a risultati che lasciano supporre la possibilità di estendere la tecnica non solo ai malti oncologici, ma a tutte quelle patologie di tipo neurodegenerativo in cui la veicolazione dei farmaci al cervello rappresenta un problema in grado di inficiare le possibilità di cura.
In caso dunque la nuova chemioterapia ideata in Canada dovesse superare ulteriori test clinici, è legittimo immaginare uno scenario in cui la chemioterapia sarà molto più efficace di quanto non lo sia ad oggi e un po’ meno devastante per l’organismo, magari quanto basta per dare fiducia a quei pazienti che temono la cura più della malattia stessa.