Una delle principali problematiche connesse con i tumori, a prescindere dalla loro localizzazione, riguarda il fatto che le cellule cancerose tendono a nascondersi all’interno dell’organismo e che, per tanto, il loro riconoscimento, tramite biopsia, e la loro rimozione, tramite chemioterapia, si configura come lunga, difficoltosa e piuttosto dolorosa.
Ispirandosi ai meccanismi di dialisi che consentono di filtrare il sangue e di rimuovere le impurità, in caso di malfunzionamento assenza di un rene, alcuni ricercatori facenti capo alla University of New South Wales di Sindey hanno ideato e messo a punto dei microscopici biochip che, una volta inseriti nell’organismo del paziente, svolgono analoga funzione, andando a riconoscere ed eliminare le cellule tumorali.
Utile tanto in chiave diagnostica, quanto in fase terapeutica (soprattutto nelle fasi embrionali dello sviluppo tumorale), il biochip australiano gode di un’invasività quasi nulla e si comporta alla stregua di una sorta di biopsia liquida, penetrando nel sangue del paziente e andando a svolgere azione di “pulizia” cellulare ogni volta viene riscontrata una qualche anomalia potenzialmente fatale per la sopravvivenza dell’organismo ospitante.
Annunciata dai sui ideatori come la principale rivoluzione in materia di trattamento del cancro realizzata nel corso degli ultimi anni, il biochip dovrebbe, almeno nelle intenzioni dei medici australiani, andarsi lentamente a sostituire alle tecniche in uso, consentendo maggiori speranze di sopravvivenza ai malati e permettendo di evitare le infinite e dolorose fasi diagnostiche e terapeutiche che spesso rappresentano un’eventualità funesta, almeno quanto la malattia stessa.
Fonte: Emerge il Futuro