Per quanto l’era di internet ci abbia convinto che eseguire diagnosi corrette risulti essere un’impresa alla portata di chiunque e che ogni quadro sintomatologico si trovi associato ad una e una sola patologia in modo univoco, a sintomi identici corrispondono in realtà svariate possibili cause e risulta spesso difficile anche per un’equipe di laureati in medicina escludere a priori la presenza di anomalie diagnostiche o di agenti patogeni molto rari.
Confusa per l’ennesimo caso di malasanità, la vicenda che ha avuto per sfortunato protagonista il turista americano Kevin Breen è rapidamente divenuta emblematica della complessità di ogni percorso diagnostico condotto in assenza di evidenza concrete ed ha dato luogo ad una sorta di tam tam mediatico globale in cui risulta davvero difficile stabilire le reali responsabilità dell’accaduto.
Giunto nel nostro Paese per trascorrere le vacanze natalizie, il 44enne Kevin Breen ha cominciato a sentirsi male il giorno della Vigilia e si è recato presso il più vicino reparto di pronto soccorso, dove il personale medico ha attribuito ad una comune gastroenterite le crisi di nausea e i dolori addominali avvertiti dall’uomo e gli ha prescritto una semplice cura ad hoc.
Dato che il quadro sintomatologico di riferimento continuava ad aggravarsi, Kevin è tornato in ospedale, dove accurate analisi hanno escluso la successiva ipotesi legata alla contrazione di un’appendicite ed hanno infittito il mistero medico, destinato a sfociare, di lì a poco in un quadro molto più allarmante di quello ipotizzato in sede iniziale.
Una lunga e complessa serie di analisi ha infatti rivelato che l’uomo era stato infettato da un raro batterio alla gola e che l’infezione si era estesa fino al punto di portare alla necrosi le estremità corporee, rendendo necessaria un’amputazione quadrupla a mani e piedi, ormai inservibili a causa di una quantità di pus accumulata nello stomaco che aveva bloccato la circolazione periferica.
Mentre si discute sulle responsabilità dell’accaduto, sulla mancata diagnosi iniziale hanno influito i fattori relativi alla rarità dell’infezione e all’assenza di specificità del quadro sintomatologico, talmente generico da dimostrare la fallacia di un metodo basato sulle diagnosi fai-da-te e sull’idea di poter ricondurre in modo agevole ogni sintomo avvertito ad un’unica causa.
Fonte: Emerge il Futuro