Anche se, una volta osservata da un punto di vista scientifico e razionale, l’emergenza legata al virus Zika che sta investendo l’America Latina appre molto più limitata di quanto non sia nelle cronache mediatiche, è più che legittimo ritenere che il timore di contrarre la patologia possa spingere alcuni atleti a rinunciare alle Olimpiadi di Rio e a preferire la sicurezza alla glorie eterna.
L’ipotesi in questione non è frutto di arditi voli pindarici messi in atto da una stampa mondiale spesso disposta a far volare le ali della fantasia, ma giunge direttamente da Patrick Sandusky, portavoce del Comitato olimpico statunitense (Usco), intervenuto in queste ore a ribadire il diritto degli atleti a boicottare la manifestazione per via dell’elevato rischio di contagio che contraddistingue il Brasile dall’inizio dell’epidemia.
Il comitato a Stelle Strisce ha inoltre fatto sapere di trovarsi intento a vagliare, in collaborazione con l’Oms, tutti i potenziali pericoli associati alla patologia, con l’intento di rendere pienamente consapevole ogni atleta americano di fronte ai rischi che corre e di lasciare la libertà di scelta ai diretti interessati, senza alcuna forma di biasimo di fronte ad un eventuale rifiuto di recarsi a Rio.
Al momento circoscritta ai soli Stati Uniti, la decisione potrebbe estendersi ad altre federazioni e rendere così le Olimpiadi di Rio ancoro più “mutilate” di quanto non lo furono quelle di Mosca nel 1980 o di Los Angeles nel 1984, quando la Guerra Fredda imperava e il boicottaggio sportivo rappresentava un’arma per destabilizzare la credibilità del nemico.
Il presidente Obama dal canto suo, ha annunciato lo stanziamento di ingenti fondi, pari ad 1,8 miliardi di dollari, per giungere all’eliminazione dalla piaga in tempo utile per riportare la calma in previsione delle Olimpiadi e per impedire che l’evento si trasformi in un’unica gigantesca corsa ad ostacoli, anche se, una volta osservata la questione da un punto di vista scientifico e razionale, le paure degli atleti appaiono piuttosto infondate, data l’assenza di complicazioni connessa con la patologia e l’improbabile presenza di una campionessa olimpionica in stato interessante.
Fonte: Emerge il Futuro